sabato 10 dicembre 2011

Pellicola, digitale, enhancement, Rube Goldberg, MacGyver - II


Continuiamo, dopo un qualche intervallo, il discorso sull'argomento, dopo un primo post un po' distante nel tempo.

Riassumendo, ci sono due modi (tra infiniti altri) di lavorare: à la Rube Goldberg o à la McGyver.
Nel bieco linguaggio degli ingegneri, un Rube Goldberg è un sistema estremamente complicato per svolgere una azione semplice. Un MacGyver è qualcosa che produce un effetto estremamente utile nella maniera più semplice e con mezzi non progettati per quello scopo.
Rube Goldberg, è lo pseudonimo di Reuben Augustus Goldberg, cartoonist statunitense, premio Pulitzer. L'espressione è da decenni sui dizionari. Il sito della Omega Engineering ha un'ampia sezione dedicata alle sue invenzioni.
MacGyver è proprio lui, l'agente segreto Angus MacGyver, che con Clippy (la graffetta di MS Word) una lattina di birra e due metri di nastro adesivo (usato) porta l'uomo su Marte (e ritorno).
Un MacGyver è un accrocco, un coacervo di oggetti che svolge egregiamente la funzione di uno strumento ultimo grido ad un millesimo del costo e - normalmente - con risultati di gran lunga migliori, specie in condizioni nelle quali lo strumento coi tacchi a spillo non può nemmeno entrare.
Più o meno quel che fece mio nonno con la matita al Polo Nord (vedi il Minosse).
Dov'è il coniglio? Semplice, è la differenza tra sapere veramente perché le cose accadono, oppure farsele dire da qualcosa che non si sa nemmeno da che parte si accende (ma che costa un sacco di soldi ed ha il design curato da H.R.Giger).

Un primo esempio.
Nella pratica quotidiana del perito docuemntrale e grafico, è (assai) comune trovare ostacoli ingiustificati, pretestuosi, imbecilli al proprio lavoro, in particolare alla ispezione dei documenti. Non si può fotografare, scansionare, acquisire, esaminare; non si può fotografare il documento perché sarebbe copia, e la copia la può fare solo il depositario, eccetera.
Debbo esaminare (e documentare) un documento, ma non mi viene consentito di portare apparecchi fotografici "professionali" (sic), lo scanner portatile, addirittura il microscopio. Il cellulare, però, sì.
Il cellulare è uno smartphone di media portata, Android, Samsung, con una camera da 3Mpixel (teorici e la funzionalità "macro"; ho anche un filtro Cokin in resina (A007, equivalente al Wratten 89B); ho a disposizione una curiosa lampada ad incandescenza (sembra una tipo A), niente luce naturale, come del resto si conviene ad un archivio.
Il risultato è questo, un perfetto MacGyver.


In alto, la scrittura nel visibile, senza regolazione della temperatura di colore (mi premeva di più silenziare il cellulare), con la conseguente dominante giallastra; in basso la stessa scrittura nell'infrarosso vicino, anteponendo il filtro all'obiettivo dello smartphone. Il tutto, ovviamente a mano libera. Evidentissima la modifica effettuata sulla cifra 1, trasformata in un 7. Dal punto di vista probatorio, il risultato è più che sufficiente e non contestabile.
Una successiva, sommaria, elaborazione (livelli, e montaggio) è stata fatta su un iPod touch, dopo aver trasferito vai mail le immagini dal cellulare (perché via mail anziché bluetooth? perché così ottengo anche un backup remoto con una unica operazione).
Il rumore nell'immagine nell'IR è dovuto allo sfruttamento della coda della curva di sensibilità dell'apparecchio (il filtro taglia la luce al 10% rispetto al prima immagine, per capirsi), e la lieve sfocatura è causata dalla pochezza del sistema ottico.
Cliccando sull'immagine potrete vederla ingrandita, tenendo conto che la qualità è ridotta per necessità di upload.
Sulla sensibilità nell'IR dei fotofonini ho già scritto in questo blog, ed a quello per ora rimando.

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